...ci vediamo alla Quercia...

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giovedì 9 settembre 2010

Il cavallo d'oro.


Conobbi Giuseppe che avevo più o meno quindici anni.
Mi piacque subito, all'istante, fù un istante tipo: "Ah, eccoti finalmente..." da film.
Ma...c'erano tanti ma.
A partire dal fatto che era un uomo ed io un'adolescente brufolosa e incasinata.
Non sapevo esattamente quanti anni avesse, lo vedevo arrivare in ufficio vestito di tutto punto con abito e cravatta, persino d'estate, quando i nostri quadranti in PVC trasparente superavano i trentacinque gradi e non sudava, l'extraterrestre!
Avevo appena preso la decisione di frequentare la scuola serale di ragioneria e mi ero ripromessa d'impegnarmi veramente, nonostante la scemenza dell'età, le amicizie trascinanti, gli ormoni in subbuglio e la fatica d'un lavoro a tempo pieno; e il cuore mi aveva tradito ancor prima d'iniziare l'anno scolastico!?! Imperdonabile.
Dopo pochi giorni le lezioni cominciarono e, sorpresa, sentii le palpitazioni guardando il professore di lettere che doveva avere più o meno la stessa età di Giuseppe.
Mi servì a ridimensionare una cotta che altrimenti avrei preso troppo sul serio e così mi buttai a capofitto nella mia nuova vita da adolescente responsabile.
Barcella, così lo chiamavo, lo vedevo periodicamente.
Durante i cinque anni di ragioneria serale, mi presi cotte per un numero imprecisato e in qualche caso feci lo strappo alla regola numero 1 che mi avrebbe permesso di sopravvivere ad un quinquennio piuttosto impegnativo NIENTE RAGAZZI, e uscii con qualcuno, generalmente durante l'estate.
Nonostante tutto questo non smettevo d'emozionarmi all'arrivo del Barcella.
Il mio ufficio, anzi, l'ufficio-campionario, dove passavo un terzo della mia sconvolgente adolescenza, dava sull'entrata al piano terra e fortunatamente alle pareti, al di là del pvc, c'erano delle grandi vetrate con vista cielo e collina, quello che noi grumellesi chiamiamo affettuosamente il Monte.
Sarei morta soffocata dai miei sogni imprigionati in una ditta tutta cemento se non avessi avuto almeno quel francobollo di mondo esterno al quale affidare i miei pensieri di libertà.
Stavo studiando la composizione di una cartella espositiva di bottoni, vi appoggiavo i cerchietti nelle due versioni due e quattro fori, il primo in ordine crescente di lineato, dal 24 al 42 il secondo in ordine decrescente, sceglievo i colori naturali e i tinti, li accostavo per gradazione o contrapposizione, ormai ero pratica, ma ci voleva sempre un certo lasso di tempo e poi...alzavo lo sguardo e vedevo avvicinarsi il cavallo d'oro.
Se ero sola mi prendevo tutto il tempo per osservare il Barcella parcheggiare il suo cavallo, se ne stava qualche minuto in auto, raccoglieva documenti, si specchiava nel retrovisore e sistemava i capelli, mi capitò di vederlo pettinarseli addirittura con un pettine e quando si sentiva pronto scendeva lentamente dall'auto, il Lord!
Con tutta tranquillità estraeva il cappotto appoggiato sul sedile posteriore, lo indossava come fosse un mantello, chiudeva ogni singolo bottone verificando che non ci fosse un pelo sul tessuto poi si controllava nei finestroni a specchio e solo allora faceva la sua entrata.
Io nel frattempo mi ero appoggiata al bancone scombussolando tutta la cartella che non avevo ancora cucito e mi rodevo tra i sospiri e il desiderio di vedere inciampare quell'uomo che, vero, mi affascinava, ma furba come la volpe ne esaltavo ostinatamente i difetti, come per quell'uva così invitante ma irraggiungibile.
Anzitutto cos'era quella scatola con le ruote? E poi, lasciando perdere il tipo di auto spigolosa come lui, come aveva potuto sceglierla di quell'orrendo colore?
Sì perchè il Barcella viaggiava su una Volvo 760 color CHAMPAGNE!
Insomma, una macchinina che non dava assolutamente nell'occhio.
Non sapevo niente di lui, ma mi ero fatta un'idea precisa di com'era da quel che potevo vedere: pieno di sè, egocentrico, altezzoso, vanitoso e sicuramente un figlio di papà.
Alla sua insaputa già allora facevo immaginazione creativa e talvolta, presa male da un suo giudizio negativo sul mio modo di usare il programma grafico che lui stesso avrebbe dovuto insegnarmi ad usare (impegno silurato con una frase: leggiti il manuale) immaginavo la volta che dimenticava d'azionare il freno a mano e il suo prezioso cavallo d'oro scivolava silenzioso al centro della strada dove un tir a tutta velocità gli tranciava di netto il baule quadrato come un panca.
Da morire dal ridere!
Eppure calcolavo i minuti necessari a fare due battute spiritose alla bella centralinista svedese, salire le scale e dirigersi nel suo ufficio per fingere di dover consultare il campionario nella sala riunioni del capo e incrociarlo "per caso".
Mi bastava salutarlo per resettare le cattiverie e immaginare creativamente il giorno in cui sarei diventata grande e lui non troppo vecchio e potesse finalmente chiedermi di uscire, successe, cinque anni dopo!
Solo allora scoprii che anche lui si emozionava vedendomi e ci teneva ad essere in ordine, che la Volvo era sensibile ai miei vodoo e gliene combinò molte, dall'avere mille problemi al motore fino a costringerlo a sostituirlo, a quella più divertente di bloccare tutte le chiusure che nemmeno il tecnico autorizzato riusciva a sbloccare col codice magico e costrinse il Lord a forzare il tettuccio e infilarsi da lì, abito, cravatta e mantello compresi, spettinando in un sol colpo la sua dignità di cavaliere del PC!
Che veniva da una famiglia modesta, molto simile alla mia, e sopratutto, cosa che lo scagionò completamente, che la Volvo color champagne era esageratamente scontata!!!

1 commento:

  1. ..non tutti vivono un film.. e che bel film.. Grandi emozioni.. grazie amica.. mar*

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