Aveva ventidue anni quando, per la prima volta, andò in vacanza con un uomo, il suo fidanzato, anche se lei mai e poi mai l’avrebbe definito tale.
Fidanzamento le ricordava qualcosa che terminava con un matrimonio e le veniva l’orticaria, scartato dunque “fidanzato” vagliava l’opportunità di chiamarlo “amico”.
Certo l’amicizia era buona, complice e intima, magari un tantino troppo intima per essere definito solo un amico.
"Compagno" le ricordava il comunismo e gli amici di suo padre che si salutavano chiamandosi a quel modo, quando, negli anni ottanta Brusa, il “zitellonissimo” testimone di nozze dei suoi genitori, l’aveva prenotata come sposa.
Quel tipo la terrorizzava quando, entrando in casa con un’espressione tra il divertito e il satanico, urlava “Questa me la sposo io quand’è grande, tienimela da parte.”
Forse proprio per questo, e i geni ribelli da femminista già innestati e guardinghi, una notte la piccola di quattro anni si svegliò tra strilla, sudori freddi e pianti, la madre corse da lei e seduta sul lettino le chiese con amore cosa fosse successo: “Mamma io non voglio sposarmi”, le rispose tra i singhiozzi disperati.
Brusa poi, alla fine si sposò, fu uno dei primi che andò in Ucraina a commissionarsi la sposa, poi una seconda e non fece in tempo a combinare le terze nozze perché la strada decise che il suo viaggio sulla terra doveva terminare lì, dove le mogli sembravano crescere sulle piante.
Quindi, pur senza una definizione certa del suo amore, la giovane donna di nome Luciana si buttò alle spalle tutte le ansie e perplessità e partì con Giuseppe il suo amico molto intimo, compagno d’avventura, fidanzato solo col senno di poi, ma molto poi.
L’anno successivo ripeterono l’esperienza e come le coppie collaudate decisero d’andare nello stesso posto dell’anno precedente, mai errore fù più grave.
Entrambe erano anime in ricerca, mai completamente tranquilli perché, come tutti quelli che cercano, quando trovano hanno già in mente qualcosa di più bello e misterioso da studiare, cercare e stanare, ovunque sia, dentro o fuori il loro cuore.
La vacanza eguagliò in bellezza la prima, le spiagge erano ancora splendide, le avventure in macchina a cercare la sagra dell’oliva ascolana in un paesino sperduto dal nome impronunciabile, per poi perdersi in campagne straordinarie vista mare e mangiare pane e formaggio litigando con Peggy perché non si pappasse tutto, condirono quei meravigliosi sette giorni creando poi aneddoti che si divertirono a raccontare sino ai giorni nostri, ma non era sufficiente.
Sentivano la necessità d’impiegare meglio il loro tempo, Giuseppe passava 358 giorni l’anno a rincorrere bit e byte, Luciana s’era ridotta ad emozionarsi davanti a un mastrino che a fine anno si chiudeva con saldo zero e sentivano di non essere solo quello.
Dentro le loro corazze, grattando solo un poco l’armatura, si poteva intravvedere che c’era di più, che il loro animo avventuroso palpitava burrascoso.
Per quanto tempo, un’anima in ricerca, può ignorare le rondini che ha nel cuore?
L’estate a seguire cambiarono registro e si trovarono a fare volontariato con dei padri cattolici in Guinea Bissau, la terza classe del terzo mondo. (continua)
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