...ci vediamo alla Quercia...

...ci vediamo alla Quercia...

mercoledì 26 maggio 2010


E' magnifico sentire questo vento sulla faccia, è caldo, lascia tracce di mare sul mio volto.
Sono felice e allo stesso tempo sento forte tensione in tutto il corpo perchè non riesco, non ce la faccio a riempirmi di tutto questo mondo che mi circonda e mi conpenetra allo stesso tempo, me lo impongo: -Forza Marzia, di più, fai entrare più immagini, apriti alle emozioni che questa terra magica ti invia- sì perchè sono come messaggi, continui richiami a sentire, a stare in ascolto, ma non riesco a far stare tutto, ho paura di dimenticare che sono stata così viva.
Cerco di distrarmi dal richiamo di madre Africa che urla a gran voce il mio nome, IL MIO NOME!
Luciana è al mio fianco, a modo suo tenta di tenere la carrozzela ma è consapevole quanto me della cazzata che stiamo facendo, mi guarda e ride, se la conosco un po' starà provando ad immaginare quel che sento.
Jose è al volante, quando la strada glielo permette schiaccia sul pedale e mi fa scompigliare i capelli al vento, così stasera si lamenterà del tempo che impiegherò per pettinarli e togliere i nodi.
Siamo stati alla spiaggia di Quinhamel, abbiamo fatto un pic-nic all'ombra dei manghi e quando s'è alzata la marea ci siamo messi tutti in mutande e abbiamo fatto le foto di rito nell'acqua.
Al ritorno m'hanno convinta a caricare la carrozzella sul cassone del pick-up e viaggiare seduta lì sopra.
Non che abbiano dovuto usare chissà quali argomentazioni, la mia resistenza è stata alquanto debole, in realtà avevo una voglia matta di viaggiare fuori e fingere di essere su di una moto o in bicicletta, cose che non ho mai fatto.
Nonostante sia terribilmente pericoloso sono eccitata, qui mi sento invulnerabile ed è sufficiente un: - Non preoccuparti Marzia, ce la si può fare - di Jose che in un qualsiasi altro posto al mondo nemmeno prenderei in considerazione, per farmi accettare avventure che altrimenti riterrei dei veri e propri attentati alla mia incolumità.
Come quell'altra gita alla periferia di Bissau dove mi sono trovata circondata da preti che mi hanno caricata su di una barchetta a remi e mi hanno condotta a pescare sull'estuario del Rio Geba. Io ho pensato: Marzia, non esiste momento migliore per dichiarare che sei nelle mani del Signore!
E poi che dire di quando i miei pazzi amici m'hanno portata all'interno del mercato di Bandim, su per viette impervie, dove si passava in fila indiana e la gente mi guardava sbalordita come a chiedersi quale dio è stato così presuntuoso da costringere un bianco in carrozzella.
Erano talmente allampanati dalla nostra inconsueta presenza che si sono addirittura dimeticati di derubarci.
La cosa più normale che facevo era starmene in giardino con un macaco psicopatico ai miei piedi.
Una volta m'hanno portato a visitare la missione di Bula, ero così fortemente ispirata da quel luogo e nauseata dal viaggio d'andata in furgone su di una strada farcita di buche che neanche ho aperto bocca alla notizia che avremmo attraversato il fiume in canoa.
Solo la settimana prima uno di quei gusci di noce si era capovolto buttando in mare il suo carico di uomini, galline, maiali e merce destinata al mercato di Bissau.
Cosa farei se succedesse ora? Pensai stretta tra Jose e Jourcy che facevano del loro meglio per farmi sentire comoda e sicura seduta su quella panchetta di legno. Non feci in tempo a pensare alla risposta, il mio interesse andò a Rebecca, la mia carrozzella che malamente veniva trasportata a bordo passando di mano in mano, sopra le teste di tutti e la domanda successiva mi parve scontata e doverosa: cosa farei se fosse Rebecca a finire in mare?
-Abbandonati ai miei poteri- mi sussurrava in continuazione Madre Africa solleticando le orecchie con la brezza dell'alta marea in arrivo, come se non fossi obbligata normalmente a farlo con chi mi spinge - Cazzo mamma Africa io mi abbandono, ma solo la scorsa settimana sono finita col culo per terra!- Eh sì, è toccato a Lucy di farmi cadere, ma questa è un'altra storia...

domenica 23 maggio 2010

Mi presento, sono Marzia.


"Buongiorno dottore"
"Buongiorno, raccontami tutto, al telefono sei stata misteriosa, che c'é?"
"Vede dottore, il mio mistero è presto svelato, ma me lo devo giocare come se fosse una sfida a scacchi e lei è la prima pedina che muovo. Con lei apro la partita e so di dovermela giocare bene se voglio vincerla."
Sapevo che avrei incontrato molte difficoltà, che la maggior parte delle persone mi avrebbe messo i bastoni tra le ruote, ero certa che molti neanche avrebbero provato a capirmi e nonostante questo avrei dovuto spiegare, perchè da una come me la spiegazione è esigita.
Naturalmente l'incontro col mio medico di base si confermò distruttivo come avevo ipotizzato, non sono un'ingenua e nemmeno una sprovveduta e nonostante mi fossi preparata al peggio, tornai a casa con lo stomaco contratto dal nervoso e le lacrime agli occhi.
Ma perchè dev'essere tutto così difficile per me?
Ho un sogno io, caro dottore, ed ora ho la seria opportunità di realizzarlo e te l'ho confidato, non posso dirti che non me ne frega niente del tuo parere medico, mi serve solo che mi prescriva tutti gli esami di routine, al resto penso io.
Queste erano le parole che mi giravano in testa, questo era quello che avrei dovuto dire, ma la diplomazia è bastarda, quando l'impari sei già fregato perchè ne diventi schiavo ed io ero già schiava di molte cose, tanto che questa mi sembrava più che utile.
Infondo ho sempre saputo come sopravvivere, la natura ti da, la natura ti toglie e a me ha dato un cervello che gira a mille e tutti quelli che mi circondano si lasciano ingannare dai propri occhi mentre ricamo intorno a loro splendide tele trasparenti e cristalline.
"Fosse l'ultima cosa che faccio dottore, mi deve aiutare."
Al termine del mio bel discorso il dottorino era sbalordito da tanto ardire tutto compresso in una donnina come me, coraggio o inconsapevolezza?
Vedevo che si chiedeva quale di queste due motori mi muovesse verso quello che lui palesava come l'abisso ma alla mia richiesta d'aiuto barcollò quel tanto che basta per inciampare nel filo argenteo che avevo filato ai suoi piedi e cadde nella mia splendida ragnatela.
-Fosse l'ultima cosa che fa, fanculo, io l'aiuto- immagino che abbia pensato, e poi giù a bastonarmi, a dirmi che però era lo specialista ad avere l'ultima parola e che gli esami da fare erano tanti e che dovevo cosiderare una serie di complicazioni, peraltro tutte doviziosamente specificate.
Sapevo che l'avrebbe fatto per scoraggiarmi, ma soprattutto era chiaro che il bel discorsetto farcito di tante malattie virali,complicazioni respiratorie, motorie e neurologiche era diretto a mia madre, che con le pupille dilatate mi immaginava già in fin di vita.
Così iniziò la mia più grande partita a scacchi che finì con me sull'areo diretto a Bissau.
Dovetti combattere con tanti medici, tutti scettici, tutti contrari, tutti zelanti nel ricordarmi quello che non posso fare, ma non capivano che non avevo scelta, io dovevo farlo, era il sogno della mia vita che improvvisamente da impossibile diventava difficilmente realizzabile.
Tutti da bambini abbiamo sognato ad occhi aperti ed io mi vedevo in mezzo ai bimbi africani a giocare, accarezzarli a portare loro un po' d'aiuto, di serenità e uno che deve fare? Smettere di lottare solo perchè la "sfigabella" ha mortificato tanto il suo corpo da costringerlo seduto su una carrozzella?
Una malattia rarissima è già tanto stronza da non farsi studiare, da non darti l'opportunità di chiamarla col suo nome perchè ancora nessuno gliel'ha dato, ma diciamolo, può rubare l'anima? Può avizzire l'ambizione? Può impedire quel tanto di pazzia che ci rende recidivi al rischio? Io li ho corsi tutti i rischi, senza il minimo dubbio, ed ho passato sei mesi della mia vita nella grande terra magica di madre Africa.
La mia storia è semplice ma penso vi possa interessare, questa ha inizio il giorno in cui il destino mi ha messo sulla strada quei due strambi di Beppe e Luciana.

mercoledì 12 maggio 2010

Di tutte le esperienze che ho vissuto in Africa, ammetto che quella con Houdi è stata tra le più intense e straordinarie.
Luìs amava gli animali, ma non era la persona più indicata ad accudirli e comunque preferiva la parte più divertente dei giochi a quella delle incombenze che comportano.
Quella domenica mattina entrò da noi un bambinetto magro e smunto con al collo questa scimmietta spaventata.
Forse perchè quella era una missione cattolica ma i fatti più significativi accadevano immancabilmente la domenica.
Luìs se ne innamorò a prima vista, lo voleva a tutti i costi ma sapeva che il suo superiore lo avrebbe osteggiato, quindi convinse noi che questo non era vero e poi convinse il capo che il nuovo arrivato era una nostra idea.
Houdi era un orfano, la madre era stata uccisa dai cacciatori e il cucciolo raccolto perchè sapevano che a Bissau c'erano tanti bianchi bambocci disposti a pagare per averla.
Ricardo, il saggio guardiano notturno, scosse il capo appena la vide.
Ci spiegò che, tra tutte, era la scimmia più dispettosa e da adulta la più violenta con gli uomini.
Insomma non solo suonavano i campanelli d'allarme, pareva di essere in un centro commerciale con l'antincendio acceso.
Di lei, la scimmia, ricordo molto.
Ricordo aneddoti ma soprattutto rivedo certe espressioni, sento alcuni abbracci, le carezze e le infinite volte che mi sono sorpresa di come le sue manine fossero uguali identiche alle mie.
Era amica di Argo, il cane, con lui organizzava furti in cucina.
Insieme si dirigevano alla missione, Houdi saliva sul dorso di Argo si agganciava alla maniglia della porta d'entrata e apriva.
Si dirigeva rapido al refettorio e raccoglieva il primo pane dal cesto, non doveva cercarlo sapeva esattamente dov'era perchè tutti i giorni, durante il pranzo, ci studiava seduto sulla finestra.
Poi correva verso la cucina e, sventolando il suo sfilatino sotto il naso della cuoca Paolina che agitava il mestolo imprecando in criolo, sbucava dalla porta sempre aperta del patio dove Argo lo attendeva.
Si nascondevano sotto un albero e Houdi spezzava il pane e lo divideva col suo compare.
Il dispetto più gustoso e divertente lo realizzò a discapito di Monica, bella ragazza dalle forme prorompenti, suo malgrado.
Un pomeriggio la nostra cara amica ci chiamò compostamente allarmata, non voleva che qualcuno lo notasse, ma la scimmia aveva rubato dal filo dei panni stesi un indumento che doveva recuperare.
Così scorgemmo Houdi sul tetto che sventolava un bel reggiseno bianco con pizzo mentre entravano i ragazzi che andavano al campo di calcio per l'allenamento.
Tutti se la ridevano, Monica tentava di mimetizzarsi dietro il banano e Jose, appollaiato sulla scala, cercava di farsi restituire l'imbarazzante bottino mentre il macaco urlava tutto il suo disaccordo...parola d'ordine: senza farsi notare!
Houdi era così, scorgeva debolezze e ne approfittava.
Erano mesi che Jose coltivava il suo orto dietro casa fantasticando sul giorno in cui avrebbe pranzato con una bella insalata mista di cipolle, pomodori e rapanelli e per finire una succosissima anguria, in un paese in cui la verdura la si vedeva col binocolo.
Non vide mai realizzato il sogno, Houdi lo precedeva sempre cogliendo l'attimo esatto in cui avveniva la maturazione di frutta e verdura e zac, come si suol dire: direttamente dal coltivatore al consumatore!
Ebbe un incidente, si infettò un arto, soffriva molto, aveva febbre alta.
Me lo tenni appiccicato per un mese alla schiena, come fanno le mamme africane coi loro piccoli.
Lo curai, lo coccolai e nacque tra noi un legame speciale, tanto speciale da regalarmi il tatuaggio semi-permanente della sua arcata dentale sul mio fondoschiena solo perchè avevo osato sgridare il suo compagno di merende, Argo.
Era un disastro e non amava gli uomini eccezion fatta per me, Jose,suor Paolina alla quale frugava nelle tasche alla ricerca della caramella che preparava appositamente per lui, Ricardo e suo figlio Jango che studiava a Dakar e quando ci veniva a trovare passava intere ore a giocare con lui; poi quando ripartiva Houdi,affranto, saliva sul tetto a piangere per i due giorni successivi.
Con Marzia è sempre stato un "gentilmacaco".
Prendeva dalle sue mani caramelle e frutta con dita leggere, in sua presenza si muoveva lento, se ne stava appollaiato ai suoi piedi come un gattone da compagnia, non urlava, non mordeva, addirittura si faceva accarezzare il volto socchiudendo gli occhi.
L'ho già detto, Houdi aveva le antenne, la debolezza di Marzia era solo quella di non poter sfuggire alle sue angherie, quindi con lei sola si concedeva il lusso di assomigliare in tutto e per tutto ad una di quelle scimmiette da salotto "carino e coccoloso" non fosse stato per quell'unica volta che la sua natura di macaco lo sopraffasse e tentò di spingerle la carrozzella.
Houdi, in questo mondo di macachi travestiti da esseri umani, mi manchi!

domenica 9 maggio 2010

Houdinì, grande mago!


"Houdi, scendi subito, riportali giù! Tati, non piangere ti prego, ora risolvo tutto io...JOSE, PORTA UNA SCALA; DEVI SALIRE SUL TETTOOOOO." Per io intendevo sempre includere Giuseppe.
La giornata era cominciata decisamente maluccio.
Finalmente stava per arrivare la domenica, giornata di riposo e rilassamento, se poi riuscivamo ad ignorare i salti della scimmia che sul tetto si svegliava alle prime luci dell'alba e cantava la sua gioia mattutina prima di lanciarsi a fare dispetti a tutti i vicini di casa, magari riuscivamo anche ad alzarci dal letto alle nove .
Macchè, quella mattina Houdi aveva premeditato tutto.
Una manciata di giorni prima Tati aveva partorito i suoi nuovi cuccioli e stavolta, ormai veterana, si era convinta che lo scatolone fuori dalla cucina non era affatto male.
La sera allattava i suoi piccoli, li lasciava addormentare e verso la seconda metà della notte se ne andava a caccia, o a far baldoria, o magari a qualche incontro di vecchie streghe africane, per poi ricomparire all'alba, giusto in tempo per indossare i panni della candida mammina e accudire i suoi pargoli.
Houdi l'aveva tenuta d'occhio, conosceva i suoi spostamenti e quella mattina era sveglio prima del primo raggio di sole, sapeva di avere pochissimo tempo a sua disposizione.
Sentii i primi rumori provenire dal tetto - E' l'alba - pensai e mi rigirai nel letto.
Poi ne sentii degli altri -Che ci fa già di ritorno Houdi? - e poi corse di nuovo via - Forza Lucy tieni gli occhi chiusi e dormi, ignoralo - mi risistemai sul cuscino.
Passarono soli pochi minuti e la scena si ripetè, ormai sentivo Giuseppe muoversi e immaginavo che anche lui si stesse inducendo a dormire con scarsi risultati.
Improvvisamente Tati balzò sulla finestra della nostra camera e si abbarbicò sulla zanzariera come un geco impazzito, miagolava e piangeva, strabuzzava gli occhi e mi chiamava disperata.
Fummo subito in piedi, tempo di aprire la porta e assistere alla scena in cui Houdi, il macaco dalle natiche pelate, correva come un pazzo con in bocca un gattino, esattamente nello stesso modo con cui li trasportava la loro mamma gatta, veniva nella nostra direzione, Tati cercò invano di fermarlo, lui era decisamente più agile.
Con pochi balzi fu sul tetto e unì il terzo gattino ai due fratellini precedentemente rapiti.
La povera Tatina cercava un appiglio per salire, ma la nostra casetta non aveva grondaie e lei aveva tentato di salire come un ragno ed era chiaro che ora riponeva tutta la sua fiducia in me e Jose.
Risolvemmo l'urgenza mattutina entro l'ora successiva, dopo aver convinto Houdinì a rilasciare gli ostaggi in cambio di un bottino niente male: un mango, una papaia, qualche banana e soprattutto una manciata di caramelle.
Ma il compromesso più difficile lo raggiungemmo con Tati che non ne voleva proprio sapere di ritornare nello scatolone alla mercè di quello scimmiotto psicopatico con problemi di identità.
- Ha rapito i cuccioli per accudirli come se ne fosse stato la madre, ti pare una cosa normale? -
Sembrava mi chiedesse coi suoi occhioni grandi dritti fissi nei miei.
E così, come se non fosse ovvio, Tati riagguantò l'alibi perfetto per traslocare nel nostro ripostiglio col suo scatolone di progenie.
Nei giorni successivi Houdi pareva in stato depressivo, ossessionato dai micetti rimaneva ore appiccicato alle nostre finestre aperte ma munite di zanzariere e sbarre e quando Tati lo scopriva fissarli si scatenava il finimondo.
Il suo morboso interesse si placò il giorno in cui, durante una delle sue scorribande mattutine, tornò con un trofeo che adottò come il peluche preferito.
Era un maialino di gomma rosa con pipetta che suonava ogni volta che lo schiacciava e dal momento che questo accadeva piuttosto frequentemente nei primi tempi, fummo contenti il giorno in cui la sua curiosità lo spinse ad estrarla e il piccolo in adozione rimase muto.
La Tatina quel giorno non fece commenti, strinse a sè i cuccioli rabbrividendo nella sua pelliccia, mi lanciò uno sguardo e si limitò ad alzare un sopracciglio con fare saccente.

lunedì 3 maggio 2010

Tatina Cicova Gatinhos na cama De Marçia


I più la conosceranno come Tati, ma il suo nome completo è Tatina Cicova Gatinhos na cama de Marçia.
Era la mia gattina preferita che ho dovuto corteggiare da lontano durante i primi mesi di permanenza in Guinea Bissau perchè un po' selvatica, poi si è lasciata comprare da una tazzina di latte ed ha varcato la soglia di casa, più tardi, come si conviene in tutte le storie di gatti, mi sono dovuta inventare qualcosa per buttarla fuori.
Eravamo talmente in sintonia che dopo un po' di tempo lei s'è fatta crescere un neo sul naso uguale-uguale al mio!
Succedeva che da qualche ora Tati m'inseguiva ovunque, persino nelle aule dei ragazzi che solitamente si guardava bene dall'avvicinare.
Tutti mi guardavano con al seguito la mia gatta panciuta a termine gravidanza e, se di solito mi prendevano in giro semplicemente per il fatto che ero la professoressa, quel giorno Tati aveva dato loro uno spunto decisamente inconsueto e appetibile.
All'ora di pranzo si spaparanzò in giardino e attese che mi alzassi dal tavolo per seguirmi poi in casa.
Verso il primo pomeriggio cominciò a miagolare ed io capii che era venuto il momento di preparargli un giaciglio confortevole e lontano dal trambusto.
Le avevo trovato proprio una bella scatola e dentro ci avevo messo una morbida coperta, lei mi guardava sistemare il tutto con gli occhi semiaperti e la lingua fuori.
La misi all'interno della scatola, la coprii con uno straccio dal quale poteva veder fuori e me ne andai.
Dopo mezz'oretta ricomparse miagolando alla mia porta, la presi tra le braccia e la riportai nella tana e all'esterno le misi un po' di latte -Magari ha sete.- Pensai.
Mentre la trasportavo sentivo i gattini muoversi nella sua pancia che mi sembrava troppo grossa per la mia piccola gattina.
Comunque la stessa scena si ripetè almeno una decina di volte, poi, disperata, decisi di cedere e posi la scatola nel ripostiglio di casa.
Sembrò subito più tranquilla.
Il giorno dopo per me e Jose era un grande giorno, saremmo andati in aeroporto a prendere la nostra carissima amica Marzia che rimaneva ospite in casa nostra per i successivi tre mesi.
Avevamo preparato tutto nei minimi particolari, letto, zanzariera, armadio nuovo.
Avevamo ridipinto la stanza e appiccicato alle pareti dei girasoli disegnati da noi che Marzia tanto adora.
A generatore spento tutto il mondo si quietava e decidemmo di andare a dormire, non fosse stato per Tati che mi chiamò, pretese che mi sdraiassi sul letto di Marzia e di fronte a me prese a respirare forte con la lingua penzoloni.
Io non sapevo che fare, mi avevano detto che i gatti fanno tutto da soli, ma per la mia amica Tati era il primo parto.
Verso mezzanotte nacque il primo gattino che venne leccato e ripulito da capo a piedi.
Quando ebbe finito Tati si alzò a fatica, lo prese delicatamente tra i denti e me lo portò tra le mani affidandomelo, poi si rimise al suo posto e ricominciò a strabuzzare gli occhi e a respirare forte.
Io ero immobile con quel micetto tutto nero e bagnaticcio fra le mani e sentivo una forte emozione, riuscivo a percepire la sacralità della vita e pensare che fino ad allora non avevo mai pensato a diventare mamma.
Entro la mezz'ora successiva nacque un secondo gattino identico al primo.
Da questa piccola storia nasce il nome completo di Tatina che tradotto potrebbe suonare più o meno così: Tatina ci cova i gattini nel letto di Marzia.
Nei mesi a seguire ebbi la fortuna di vedere Tati alle prese coi suoi cuccioli, era talmente dolce, coccolosa, giocherellona, istruttiva, talvolta severa e dedita alla disciplina della caccia che più di una volta mi sorpresi a pensare che un giorno, avendo dei figli, avrei voluto assomigliare a Tati, come mamma.

Tutto questo augurando ai neonati di qualunque specie di trovare mamme sapienti e, comunque vada, d'incontrare qualcuno disposto ad amarli.