...ci vediamo alla Quercia...

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venerdì 18 giugno 2010

Ritorno alla "normalità"

Ecco ce l'ho fatta, non ho proprio pianto a dirotto è scesa solo quache lacrima e mi sembrava che fosse più pesante di quelle che ho versato sino ad oggi e non sono state poche.
Mi piace volare, adoro stare in mezzo alle nuvole fosse per me prenderei l'aereo una volta al mese.
Peccato però per tutte le procedure che devo seguire, i fax che devo assicurarmi che siano stati inviati, notizie sul mio stato di salute che devono certamente essere notificate dal luogo di partenza a quello d'arrivo altrimenti mi lasciano a terra come un qualsiasi pacco.
Per molti sarebbe meglio che me ne stessi a casa, fanculo ai molti, io viaggio.
Sono stata per due anni di seguito in Africa, sei ore di volo con scalo a Lisbona, tre mesi ogni volta in una terra magica e martoriata.
Partendo dal primo mondo ho fatto un elenco mentale delle brutte cose che chiedevo al cielo non accadessero durante la mia permanenza, il colpo di stato era tra quelle.
La scimmia, le papaie, il cielo stellato, l'odore acro della terra rossa, le capanne di fango e paglia, gli aironi nel cielo, il fruscio delle maree, le urla dei bambini che giocano, la scia interminabile di pipistrelli al tramonto, gli alunni del CIFAP e all'infinito potrei elencare l'emozione vissuta ogni giorno.
Qualcuno ha detto di non aver visto l'Africa rimanendo a Bissau, cieco e sordo che non è altro, abituato al benessere e ai documentari pensava forse di vedere la savana coi leoni e gli ippopotami, quella è l'Africa dei safari, l'Africa vista cogli occhi dei bianchi, io ho voluto sentire sulla mia pelle quella della gente che si arrabatta per arrivare a fine giornata con almeno un pugno di riso da mettere in pentola per sfamare figli, nipoti e amici.
Sono seduta accanto a padre Marçelino, l'unico del folto gruppo di preti che ritorna col mio stesso volo che era disposto ad accompagnarmi e aiutarmi.
Dormirà nella mia stanza d'albergo a Lisbona, ritirerà Rebecca, la mia carrozzella ai bagagli, mi sistemerà cuscini e mi ha già avvolta in una calda copertina di pile.
Fa freddo su questo aereo, ho freddo nel cuore perchè lascio Madre Africa e non credo che tornerò mai più, ho freddo perchè nessun'altro prete mi aiuterà allo scalo di Lisbona.
Ho fatto un miracolo io cari signori!
Vorrei urlarglielo, ma poi so che risulterei blasfema e so altrettanto bene che parleranno per giorni e giorni a riunioni, conferenze e prediche della domenica di quanto bene stanno facendo per i poverelli africani dimenticando di essersi rifiutati di accompagnarmi in nome di uno sbarco più rapido, un taxi tutto per loro e la misera valigetta che trascinano per il terzo mondo, sì, perchè si vantano d'aver appreso con gli anni l'arte di viaggiar leggeri, nemmeno si sono resi conto d'avermi fatto sentire così un peso insostenibile.
Io ho appreso l'arte d'affidarmi al prossimo dalle cose più semplici, come ogni volta che qualcuno mi spinge, a quelle più complesse, come partire per Bissau accompagnata da un'amica e non sapere se di lì a tre mesi qualcuno tornerà in Italia.
"Non preoccuparti Marzia, ogni settimana qui ci sono suore che tornano, chiediamo a loro." Mi rassicurò Giuseppe al momento della prenotazione, ed io a credergli sotto l'effetto dell'adrenalina che la mia
terra totem
scatena in tutto il corpo.
Non sono pentita di niente, a volte odio la mia condizione, altre ringrazio la sfigabella d'avermi colpito in pieno perchè nonostante questo io ci provo, provo a realizzare i miei sogni, non rifiuto le sfide nemmeno quelle più minacciose, mi guardo dentro e so cosa voglio.
Sono su questo aereo col mal di schiena e il cuore in sobbuglio e non rinuncio a vivere.
Non tornerò mai più in Africa ne sono consapevole e il bene che ne ho ricevuto è di gran lunga maggiore del male che, secondo tutti gli esperti e specialisti, avrei dovuto patire.
Magari in futuro ne risentirò ma quanti possono dire d'aver sentito il vento urlare il proprio nome a gran voce?
Ogni volta che soffro, ogni volta che piango e m'incazzo io la ricordo gridare:
MARZIA, MARZIA, ABBANDONATI A ME, LASCIATI ANDARE ALLA VITA...
solo allora trovo la forza d'accettare qualsiasi cosa e accettandola la vivo, la combatto e la supero.
Ognuno di noi dovrebbe cercare, trovare e abbandonarsi alla propria Africa e in cuor mio lo auguro a chiunque.

mercoledì 9 giugno 2010

Quando la Morte...

Quando la Morte mi chiama tutto si ferma, è un'amica inattesa, si presenta alla finestra socchiusa e mi dice di aprire che viene da lontano e ha sete.
E' scortese non aprire a qualcuno che non vedi da tanto, quindi la faccio sedere, le preparo qualcosa di buono e attendo che abbia voglia di parlare.
Io di solito mi limito ad ascoltare perchè ha cose molto forti ed interessanti da dire, molte delle quali nemmeno capisco ma ho molta stima di lei e so che mi riferisce quello che dovrei già aver compreso a questo punto della vita e ostinatamente non voglio imparare.
Mi sconvolge la sua visita, come potrebbe essere per un amico che mi svela qualche verità nascosta sul mondo, riflettere fa male in un contesto nel quale è meglio chinare il capo e seguire il branco.
Morte mi sprona a pensare con la mia testa e mi assorbe completamente per qualche tempo.
La sua presenza mi mette soggezione, sovente mi sconvolge ma non riesco ad odiarla perchè ricordo benissimo l'attimo nel quale l'ho accettata, stavo nascendo! Buonanotte ai pensatori...